Francesco Bonfanti e l’utopia concreta della ‘Città dell’armonia’


La Città Sociale, Valdagno (Vi), anni '40

Un nuovo post, una ‘nuova’ categoria. Non che manchino gli Architetti su questo blog effettivamente, ma per l’occasione mi allontano dai soliti grandi nomi per trattare una personalità, ai più, sconosciuta. Infatti colgo l’opportunità per ‘ritornare’ nella provincia e parlare un pò della mia città, del posto in cui sono cresciuto, e della figura che ad esso è maggiormente legata.

Parlare della mia città significa parlare principalmente di una dinastia di imprenditori, i conti Marzotto, e di un architetto, Francesco Bonfanti, che poi è colui che buona parte di questa città l’ha disegnata, progettata, costruita. Ha creato scuole, strade, viali, parchi, ospedali, abitazioni, teatri, piscine. Luoghi che ho frequentato e vissuto. Luoghi che vedo e attraverso tuttora, quasi ogni giorno.

Gli devo molto, insomma. Non solo perchè ha concepito quella particolare scenografia urbana nella quale io vivo la mia vita ma perchè in qualche modo, forse inconsapevolmente, la sua città e i suoi edifici mi hanno condizionato, indirizzato, ‘formato’.

Ma procediamo con ordine.

Valdagno, la mia città, compare un pò in disparte, e largamente in ritardo, tra gli esempi di urbanizzazione legati al paternalismo industriale che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, ha prodotto in Italia eccellenti casi di villaggi industriali e di fabbriche-città, da Crespi d’Adda a Schio fino a Collegno, vicino Torino. Insediamenti operai nati dalla volontà di illuminati capitani d’industria, Crespi, Rossi e Leumann, spinti dalla volontà di legare i propri operai alla grande fabbrica e di migliorare le loro condizioni di vita, offrendo abitazioni moderne, servizi, educazione per i figli, spazi per le attività ricreative.

Valdagno, pur con quasi 30 anni di ritardo, non sfugge a questa logica. Tuttavia, nella mente del committente, il conte Gaetano Marzotto, che tra il 1927 ed il 1944, darà il via a questo enorme progetto, insieme finanziario, speculativo e filantropico, la Nuova Valdagno doveva risultare qualcosa di più grande, un esperimento urbanistico e sociale senza precedenti, aggiornato e moderno rispetto alle limitate esperienze dei villaggi operai. Il piccolo e vecchio paese, adagiato sulla riva destra del torrente Agno, nel nord della provincia di Vicenza, con il suo centro storico settecentesco, risultava ormai sproporzionato rispetto alla mole della fabbrica tessile Marzotto, divenuta negli anni ’20 un colosso a livello nazionale ed europeo. La città era destinata ad un salto culturale e di scala, per renderla funzionale al ruolo di centro industriale di primaria importanza e per adeguarne la struttura sociale ed economica alle necessità della fabbrica, in un’unione programmata di comunità e sistema di lavoro e produzione.

Non è un caso che un simile progetto prendesse il nome di Città Sociale o meglio, di Città dell’Armonia.In questa definizione sta lo spirito moderno di un progetto, nelle intenzioni, totalizzante, che avrebbe investito l’architettura e l’urbanistica, l’economia cittadina e la vita sociale, il territorio e la sua cittadinanza. Questo progetto aveva bisogno di un tecnico e di una artista, di un ingegnere ed architetto in grado di dare forma ad un’ utopia sociale e urbanistica, un piano in grado di assorbire la conflittualità operai-imprenditore nella costruzione di una nuova dimensione urbana. E’ a questo punto che entra in gioco la figura di Francesco Bonfanti.

Siciliano di Noto (Siracusa), dove era nato nel 1898, Bonfanti aveva frequentato la scuola d’applicazione per Ingegneri a Roma e vi si era laureato in ingegneria civile nel 1920. Ma è al nord che si costruirà un ruolo professionale, operando prima a Bassano del Grappa, dove si era trasferito nel 1922, e in seguito a Valdagno, dove avrebbe legato la propria affermazione ai Marzotto, realizzando il loro progetto urbano e imprenditoriale.

Francesco Bonfanti, che diventerà architetto a tutti gli effetti solo nel 1940, si era formato alla scuola di Gustavo Giovannoni e in tutta la propria parabola professionale vivrà la tensione tra il ruolo tecnico, ingegneristico e insieme artistico, umanistico della professione di architetto, nell’ottica giovannoniana dell’architetto integrale: questa compresenza, questa complementarietà conflittuale è leggibile chiaramente negli edifici che progetta a Valdagno. Ma si tratta di una ambiguità che contraddistingue anche il progetto imprenditoriale di Marzotto.

Francesco Bonfanti, Planimetria della Città Sociale, Valdagno (Vi), 1930
Francesco Bonfanti, Planimetria della Città Sociale, Valdagno (Vi), 1930

La città sociale sorge infatti come una città moderna, poichè le esigenze costruttive e la pianificazione totale dell’intervento esigevano l’adozione di tecniche industriali, di economia realizzativa, di una progettazione razionale. Allo stesso tempo però il progetto comunitario alla base, emanazione della dirigenza aziendale, era ancorato alla tradizione, alla cristallizzazione delle gerarchie sociali proprie del lavoro nella fabbrica.   L’evidente differenziazione stilistica, che va dal raffinato ed esuberante eclettismo storicista delle ville per i dirigenti e degli appartamenti per gli impiegati fino al lineare razionalismo novecentista delle abitazioni collettive per gli operai, testimonia il classismo dell’armonia sociale prevista per la nuova città. La città sociale di Marzotto e Bonfanti è chiaramente e funzionalmente gerarchica, nella divisione per ambiti e tipologie delle abitazioni, con i dirigenti e gli operai divisi nettamente, e nella disposizione dei servizi comuni, tutti legati direttamente all’ impresa padronale.

Ma la città sociale è moderna anche nella sua evidente alterità rispetto alla vecchia Valdagno: al paese arroccato attorno al colle e al suo duomo, doveva essere opposto il nuovo insediamento, arioso e razionale, attraversato da lunghi viali alberati, con gli ampi isolati derivati dall’urbanistica ottocentesca e le palazzine residenziali immerse nel verde, con le sue moderne attrezzature sociali (dal pensionato all’asilo, dalle scuole all’ospedale, dallo stadio al dopolavoro operaio, dalle piscine al teatro). La Nuova Valdagno era la città-macchina, l’utopia urbana del Moderno, in cui ogni cittadino lavoratore, pienamente inserito nel processo produttivo industriale, poteva godere del verde e delle attività ricreative, della casa individuale e della salute, elargite dal padrone per il suo benessere. L’umanesimo di Bonfanti era quindi chiamato ad intervenire nel progetto per rendere accettabile e gradevole l’assolutezza del meccanismo, il rigore di una città concepita con logica industriale.

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Per il progettista la realizzazione della città divenne l’occasione per sperimentare una peculiare ricerca estetica, nel tentativo di bilanciare il proprio umanesimo artistico con le necessità tecnologiche e produttive del processo di costruzione: il risultato sarà una città metafisica, quasi sospesa nel tempo, in cui arcate, colonne, timpani, decorazioni di uno storicismo fantasioso e molto libero, convivono con torri littorie, spazi razionali, prospettive dilatate e lineari, espressioni di un funzionalismo moderno a cui non manca una particolare vena espressiva. Dal 1928 al 1944 Francesco Bonfanti riversa negli edifici della Città Sociale un gusto assolutamente personale e sofisticato per la decorazione, per i giochi di ombre e luci che animano le facciate, in uno stile che è assieme pittoresco e influenzato dal classicismo ma anche aperto ad alcune suggestioni del gusto mitteleuropeo ( Jugenstil principalmente, alcune reminescenze di Otto Wagner, specie in alcuni villini). Accanto a questo gusto convive però un approccio diverso, orientato ad un sobrio razionalismo, specie negli edifici scolastici degli anni ’30 e nelle residenze ‘popolari’, contraddistinto da pareti piane, una marcata orizzontalità, l’uso ricorrente delle finestre circolari, ad oblò, e della finestra in lunghezza. Egli opererà in questo un continuo aggiornamento delle proprie pratiche progettuali, adeguandole progressivamente alle necessità razionali e produttive del processo costruttivo della città, senza tuttavia abbandonare completamente il gioco intellettuale con le forme del passato.

Francesco Bonfanti, Il Club Operaio con Palestra e la Piscina Comunale, ora chiesa di San Gaetano, Valdagno (Vi)
Francesco Bonfanti, Il Club Operaio con piscina e palestra, ora Piscina Comunale e Chiesa di San Gaetano, Valdagno (Vi)
Francesco Bonfanti, Abitazioni per gli operai, Valdagno (Vi)
Francesco Bonfanti, Abitazioni per gli operai, Valdagno (Vi)

Rimarrà quindi una certa ambiguità di fondo, una sorta di indeterminatezza, di compresenza di elementi diversi e contrastanti. Fattori che contribuiscono al fascino dei suoi edifici ed in parte, probabilmente, determinano la marginalità della figura di Bonfanti: non a caso, pur essendo l’autore, a conti fatti, di una delle più importanti e peculiari esperienze di urbanizzazione dell’intero XX secolo italiano, la sua figura di architetto è praticamente sconosciuta, al di fuori del contesto locale valdagnese e vicentino. Forse perchè intrisa sia di eclettismo che di funzionalismo, di monumentalità e carattere scultoreo come di raffinata sobrietà. Forse perchè insieme tradizionale e moderno, innovativo e conservatore, storicista e razionale, metafisico e pittoresco. Un’architetto che, nelle proprie opere, sintetizza l’atmosfera di una intera città e che sfugge alle rigide categorizzazioni di cui è piena la storia.

Francesco Bonfanti, Istituto tecnico V.E. Marzotto, Valdagno (Vi)
Francesco Bonfanti, Istituto tecnico V.E. Marzotto, Valdagno (Vi)

Ma non solo. Durante gli anni ’30 l’opera valdagnese di Bonfanti sembra abbracciare certa retorica monumentale ed espressiva del regime fascista: a Valdagno sorgono gli istituti educativi e di potere del regime, dalla Casa del Balilla alla Casa del Fascio, architetture che denotano un tentativo di fusione del monumentalismo classicista (di Piacentini o Muzio) con il funzionalismo espressivo bonfantiano. Il rapporto libero di Bonfanti con la storia sembra ora vestirsi di retorica conservatrice. Questa ambiguità culmina con la realizzazione del Cinema-Teatro Impero, inaugurato nel 1936, l’opera sociale più importante della nuova città e il capolavoro assoluto di Bonfanti: tuttavia, la ricca facciata in marmo sarà, al termine della guerra, associata al ricordo dell’infame regime mussoliniano tanto da imporre il cambio di nome al teatro (ribattezzato Teatro Rivoli) e la completa demolizione del prospetto, sostituito da una muta controfacciata a mosaico dell’artista veneziano Giuseppe Santomaso.

Era indubbio, comunque, che il piano di Marzotto, avesse trovato un terreno fertile per la sua realizzazione nel clima generale di conservatorismo sociale sostenuto dal regime fascista; ma questo clima era destinato a cambiare con la liberazione del paese e il mutamento politico, culturale ed economico del dopoguerra, spingendo la comunità a rivedere radicalmente il proprio rapporto con la città nuova e le sue architetture.

Francesco Bonfanti, Teatro Impero, 1936, Valdagno (Vi)
Francesco Bonfanti, Teatro Impero, 1936, Valdagno (Vi)

Ma che ne è stato, nel frattempo, dell’utopia sociale della Città dell’Armonia? A Valdagno le due parti, il centro storico e la città sociale, non si sono mai completamente integrate. Concepite per essere diverse, e divise fisicamente dal fiume, tanto che ancora oggi il fulcro della vita sociale e culturale della città rimane il centro storico. Le torri della città di Bonfanti e Marzotto osservano il vecchio centro, nella loro esuberante diversità, espressione reale e tangibile del progetto comunitario di Gaetano Marzotto e del suo architetto, entrata in crisi con il venir meno del dominio della fabbrica e del suo ‘controllo’ sulle dinamiche sociali.

Nel 1968 le proteste operaie e studentesche a Valdagno culminavano con l’abbattimento della statua del conte Marzotto. Evento che preludeva ad una nuova fase di trasformazione della città, una fase in cui sarebbe progressivamente venuto meno il legame, che è stato assieme una benedizione e una condanna, tra la fabbrica e la città. Quasi dieci anni più tardi il Teatro Rivoli, il più grande teatro del Veneto, perdeva la facciata, sostituita, in una cinica operazione speculativa, da un blocco di appartamenti, innestato letteralmente sull’edificio, per poi chiudere definitivamente alla fine degli anni ’80, nella crisi generale delle sale cinematografiche.

Era il segno del passaggio d’epoca: la fabbrica Marzotto, alla vigilia del ridimensionamento del proprio ruolo nell’economia cittadina, si ‘dissociava’ dalla comunità e il Cinema-Teatro, emblema di un progetto culturale troppo ampio per il limitato orizzonte cittadino, veniva abbandonato per il mutare delle abitudini sociali.

Nel frattempo Francesco Bonfanti si era progressivamente emancipato dal ruolo di architetto dei Marzotto: dopo la realizzazione di un’altra città sociale, il villaggio operaio di Manerbio, nel bresciano, sede di un lanificio del gruppo tessile vicentino, e la realizzazione del villaggio per le vacanze degli operai Marzotto a Jesolo, sulla costa adriatica, l’architetto legherà nel dopoguerra il proprio nome ad un progetto di ricostruzione del paese di Francavilla al Mare, in Abruzzo, distrutto dalla ritirata nazista durante il conflitto mondiale. Progetto che non vedrà la realizzazione. Da questo momento in poi Bonfanti proseguirà l’attività professionale, principalmente a Bassano del Grappa, Castelfranco e Padova, fino alla morte, nel 1959.

Parco della Favorita, Valdagno
Parco della Favorita, Valdagno

Nella sua peculiarità, quindi, Francesco Bonfanti è stato un protagonista del Novecento italiano,  un’ artista che con la sua opera ha profondamente cambiato la mia città, aprendola ad una nuova dimensione culturale ed alla modernità. Una nuova dimensione con la quale ancora oggi Valdagno fa a fatica i conti, in un processo in atto di ricucitura delle parti, soprattutto quando una simile eredità di servizi e strutture, così ambiziosamente sovradimensionate, si scontra con il ridimensionamento e la ‘decadenza’ della città e le difficoltà della gestione pubblica. Ma questa è chiaramente un’altra storia.

Alberto Erseghe, architetto e studioso, nella monografia dedicata a Bonfanti, sottolinea come le diverse architetture della Città Sociale, la compresenza e vicinanza di linguaggi diversi, stiano ad indicare contemporaneamente sia la prospettiva della modernità, lo slancio innovativo che il ricordo del passato, la suggestione dell’antico: come a Maurilia, una delle ‘città invisibili’ di Calvino, dove la metropoli passata e quella presente vivono nello stesso luogo, una nella memoria,nelle immagini idealizzate, l’altra nella vita quotidiana, negli edifici e negli spazi della comunità.

A Valdagno queste due città si guardano dalle rive opposte di uno stesso fiume, e talvolta dai lati opposti di una stessa strada.

“A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima … per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia divenuta metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era.  Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro.”  (Italo Calvino, ‘Le città invisibili’)

5 thoughts on “Francesco Bonfanti e l’utopia concreta della ‘Città dell’armonia’

  1. “Nel 1969 le proteste operaie e studentesche a Valdagno culminavano con l’abbattimento della statua del conte Marzotto.” segnalo un piccolo errore. Il 19 aprile 1968 viene abbattuta la statua di Marzotto.

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